lunedì 31 maggio 2010
Cose serie
ho capito che tra noi
poteva diventare una cosa seria
la prima volta che abbiamo passato la notte insieme
e non abbiamo fatto l'amore
venerdì 28 maggio 2010
Posti pericolosi
[solleva la testa, mi guarda interrogativo. Quant'è figo!]
Dimmi
Ecco...
Cosa? Tutto bene
...mmmhsì
Sicura?
Ecco, sì. Senti... mmh... non so quali siano le tue abitudini in proposito, ma...
Sì?
Nel cassetto del comodino ci sono dei preservativi...
Io di solito non lo uso
[andiamo bene] Io sì
Ehi, rilassati. Non ho niente. Abbiamo anche donato il sangue insieme, ricordi?
E ci mancherebbe che avessi qualcosa di serio. Io pensavo piuttosto a tutte quelle cosarelle fastidiose e pruriginose che potremmo passarci se adesso non facessimo attenzione
Usi troppi congiuntivi per essere una che sta per fare sesso
[ecco, lo sapevo: libido spacciata] Senti, non prenderla male, ma ci conosciamo da poco... che ne so dove lo hai infilato?
In nessun posto pericoloso
Ok, allora mettiamola così: che ne sai TU di cosa ci ho infilato io?
lunedì 24 maggio 2010
Revisionismo storico-romantico
Ma ti ha lasciata.
Eh, riconoscerai che c’è una contraddizione: se ti ha mollato, spezzandoti il cuore, si vede che qualcosa non ha funzionato. Va bene che ci sono motivi seri e fondati perché certe relazioni finiscono. Va bene anche che lui, nonostante ti abbia accoltellata in centro al petto, continui ad essere tutto sommato una persona apparentemente piena di pregi. Va bene tutto guarda. Ma adesso, per favore, la pianti di decantarne le lodi? Ti ha fatto soffrire. Basta con questa inutile agiografia. Piantala di giustificarlo e dirne ogni bene. Perché continui a raccontarti e raccontarmi di quanto è meraviglioso lui e quello che ti ha fatto provare? Non mi interessa sai. E non dovrebbe interessare nemmeno te.
Allora, ascoltami. Facciamo così: da ora in poi me ne parlerai solo malissimo. Non fare quella faccia. Puoi anche inventare. È terapeutico. Altro che fiori di bach. Ti do qualche spunto:
il suo decadimento fisico è innegabile e mi fa anche un po’ senso;
bacia male;
è privo di senso dell’umorismo;
la sua intelligenza si esprime al meglio solo al fantacalcio;
ha un perverso altarino con la foto di Ilona Staller sul comodino in camera da letto, con lumino acceso;
non ho mai sopportato i suoi amici, in particolare Ruttolo;
a letto ci mette 5 minuti, doccia inclusa.
Proviamo? Siete invitati a darmi altre idee: oggi è obbligatorio parlar male degli ex.
giovedì 20 maggio 2010
Rubrica: Ventricoli Epistolari/4
quasi divertito dall'ennesima incomprensione del mondo femminile scrivo a te e ai tuoi lettori per avere sostegno, visto che l'ASL offre questo servizio...
Partiamo dall'aneddoto: ragazza carina, dirimpettaia sul posto di lavoro (dall'altra parte della strada), con stuolo di pellegrini corteggiatori al seguito che quotidianamente transitano da lei. Mai andati oltre il ciao. Un giorno attacco bottone, si rivela più simpatica e fantasiosa del previsto. La invito a pranzo, accetta. Buona conversazione, 2 ore piacevoli, ci conosciamo un po', qualche imbarazzo ma tutto nella norma. Ci lasciamo con il proposito di rivederci.
Dopo qualche giorno propongo un'altra uscita. Apparentemente tutto ok, lei propone serata in centro, 2 chiacchiere, bicchiere di vino.
Poi più niente. Ecco.
Poco male, capita, di 2 di picche se ne danno e se ne prendono, ma il modus operandi mi è oscuro. Perché accettare un invito, essere apparentemente disponibile se poi in realtà la cosa non interessa? Ecco, questo è un caso assolutamente semplice e banale e non vale la pena perderci tempo, ma è emblematico: non comprendo il motivo per cui una parte delle femmine dopo essersi fatta corteggiare o dopo aver flirtato un po' anziché dire 'sì mi interessa' oppure 'no grazie' semplicemente faccia finta di nulla. Va benissimo anche una scusa, tipo 'sai mio fratello si è rotto l'alluce destro del piede giocando a calcio in una cava di pietre e devo portargli la pastasciutta sul divano tutte le sere facciamo che ci sentiamo poi...' ma l'ambiguità, il non far capire all'altro le proprie intenzioni, il far finta di niente mi lascia un po' perplesso.
È la non risposta al posto della risposta negativa. Mi sforzo, ma mi sfugge.
Che ne dite?
Un Lettore nel Dubbio
Caro Dubbioso,
era dalla 1^ media che non sentivo parlare delle donne come di “femmine”: non c’è niente di inesatto in questo, ma contribuisce a dare al tutto un interessante approccio etologico. Che io, in quanto etologa del sentimento, intendo seguire dichiarando apertamente, e contro il mio interesse, come stanno le cose: le femmine di ogni specie, caro, ci godono a sentirsi desiderate. Tutte. Nessuna esclusa. Se avesse trovato la tua compagnia ributtante non ti ci saresti trovato da solo per due incontri consecutivi, ma questo non l’ha motivata a un terzo appuntamento. Perché non dirlo chiaramente? Per diversi motivi secondo me: 1) l’idea che tu possa ancora manifestare interesse nei suoi confronti la lusinga 2) l’idea che tu possa risponderle “guarda che hai frainteso” a un suo ipotetico “preferisco se non ci vediamo più” la irrita 3) l’idea che tu possa servirle in futuro la incoraggia.
E poi scusa, cosa significa che fa finta di niente? Tu cosa stai facendo? L’hai richiamata? Fai il carino? Hai manifestato interesse?
C’è poi da dire che i “maschi”, nella percezione usuale delle “femmine”, fanno esattamente lo stesso, con la variante che noi in genere non ci rassegniamo all’indifferenza e la giustifichiamo con fantasiose motivazioni, di norma tutte declinate intorno al concetto “gli piaccio ma non sa come dirmelo”. Un’idiozia, ne convengo.
lunedì 17 maggio 2010
La gonna e il censore
Questo è il mio animo moralista. Il censore che è in me. Oggi mi scaglio contro il malcostume degli adolescenti. E per malcostume non intendo affatto le loro abitudini equivoche o le loro più o meno precoci esperienze sessuali. Parlo proprio di come vanno in giro vestite.
Quando avevo 18 anni una sera mio padre mi proibì di uscire perché avevo una gonna troppo corta. A onor del vero, devo ammettere che sostanzialmente la gonna non ce l’avevo, ma non è questo il punto. Il punto è che un adulto nel quale tutto sommato riconoscevo un’autorità mi disse “O ti cambi o non esci” e io, che pur m’incazzai, sbraitai, urlai e non gli rivolsi la parola per tutto il weekend, mi cambiai e uscii. E, se si esclude qualche allegro disadattamento che oggi coltivo, in nessun modo imputabile a quel sabato sera, sono cresciuta sostanzialmente equilibrata. Voglio dire che l’autorità paterna che mi capitò di assecondare non mi ha fatto male, non ha provocato nessun disagio né alcuna forma di turbamento, ho un buon rapporto col mio corpo e non sono attualmente in cura da uno psicologo perché nell’adolescenza una figura dispotica impedì la libera espressione della mia personalità. Avevo 18 anni, diciotto!, e ubbidii. Già l’anno dopo non succedeva più: con indosso abiti molto più minimalisti mio padre sgranava gli occhi mentre salutavo, grugniva il proprio imbarazzato disappunto mentre stavo ancora sulla porta, ma alla fine di fatto uscivo di casa vestita come mi pareva. Però forse sapevo quello che stavo facendo: le mie gambe si erano conquistate il diritto di stare nude e avevano coscienza di esserlo.
Torniamo al presente. Sabato pomeriggio mi è capitato di fare due passi in centro nell’ora dello struscio. Ecco, io mi chiedo se le adolescenti da me incrociate per la via possiedono dei genitori a casa che le hanno salutate prima che uscissero. E se sì, cosa guardavano questi genitori? Il pavimento? Non credo, altrimenti avrebbero forse notato il cattivo gusto delle scarpe col tacco alto argentato. Forse non guardavano proprio, perché io non posso crederci che adulti di buon senso approvino leggins fluorescenti di due taglie più piccoli, canottiere optical con cinturone griffato, capelli cotonati, occhi imbrattati da cazzuolate di kajal e accessori in polietilene su borse contraffatte. Ora mi si dirà che le fanciulle in questione escono di casa con la tuta da ginnastica e poi compiono la metamorfosi nella cameretta dell’amica coi genitori in vacanza. Può darsi, io stessa talvolta uscivo struccata col maglione di bambi e arrivavo in centro con un top di pailletes e tre dita di eye-liner. Però erano numericamente troppo elevati gli esemplari di caricature di adolescenti da me incrociati per essere tutti ricondotti al fenomeno creativo e divertente della vestizione nascosta.
Ettari di pelle minorenne e tatuata mi si sono srotolati davanti, occhiali da sole a mascherina, ombelichi, avambracci, labbra truccate, alta concentrazione di disturbi alimentari. Sono una bacchettona integralista probabilmente, ché si fa presto a farsi censori quando non si ha davvero a che fare con gli adolescenti di cui sopra. Mah. Può darsi. Può darsi sia un problema mio e della mia indole così vetusta e demodée.
giovedì 13 maggio 2010
In treno
come strano?
massì, strano, forse è anche un po' autistico. poi, dai, si siede sempre nello stesso posto dello stesso vagone
e come fai a saperlo?
perché mi siedo sempre nello stesso posto dello stesso vagone
lunedì 10 maggio 2010
L'alfabeto dei baci
Iniziamo dagli Alluci, non i miei, lo sai che non amo i miei piedi: cominciamo coi tuoi e non fare storie.
Poi potremmo passare ai Bicipiti. Stai fermo: ho detto i Bicipiti, al Bacino ci scendiamo dopo. Dai su, siamo solo all’inizio. E stai lontano dalla Bocca.
Ora andiamo al Collo, d’accordo, il Collo mi piace. Scelta semplice ma non banale. Il Collo, sì. E una Caviglia. No no, fermo: con la C abbiamo finito qui.
Poi voglio dare e avere baci su tutte le Dita, una per una, mani e piedi.
Ora facciamo un bacio jolly: baci Epidermici, un pezzetto a scelta. Uno solo, l’Epidermide ha una superficie piuttosto estesa ma qualche idea ci può venire.
Ora un bacio con la F. No, quella in anatomia non esiste, non si chiama così. Non fare il furbo. Però in effetti con la F sono in difficoltà. D’accordo, te lo concedo, ma che non duri più di un secondo massimo due.
Ok, abbiamo esagerato. Questo era facile, riprendiamo l’esplorazione mirata: un bacio sulle Ginocchia, se vuoi ti concedo una Gota, ma sfiorala appena.
H? Allora… Ti ricordi la scorsa estate, quel tatuaggio con l’Hennè che mi ero fatta? Ecco, puoi baciarmi lì.
Ora baciamoci sull’Inguine. Ehi ehi, dove vai? Inguine e basta. Se vuoi puoi mordere piano, ma non più di un Incisivo. Mmmmm.
Adesso Labbra. Ora voglio un po’ di Labbra su Labbra e un po’ di Lingua. Lo so che con questi baci è troppo facile, però se le poggiassi un momento sulle mie vertebre Lombari, le tue Labbra con Lingua, ecco, mi piacerebbe.
Malleoli: torniamo laggiù, più giù, ed esploriamo i Malleoli, quegli ossicini tondi che segnano le caviglie. E poi un baciaMano d’altri tempi: adesso voglio un baciaMano.
Il Naso dici? Dov’è che vuoi mettermi il Naso? Credo ti sfugga il principio di questo gioco. Se vuoi ti ci do un bacio sul Naso. E poi un altro sulla Nuca, alla radice dei capelli. Le Natiche? Oh, ma è un chiodo fisso allora. Tieni a posto quelle labbra.
Ora piuttosto vorrei un bacio sugli Occhi, li tengo chiusi: baciali piano, uno alla volta, lascia che le ciglia ti solletichino le labbra. Tra un momento farò lo stesso a te e aggiungerei anche l’Ombelico se non ti spiace.
P come Piedi: potrei superare i miei complessi e lasciarteli un attimo questi Piedi, ma a patto che poi tu risalga i Polpacci e prosegua in salita fin sui Quadricipiti. Ecco, qui possiamo restare un po’: vuoi?
Già che sei in zona occupati anche delle mie Rotule, poverine, non le guardi mai.
Torniamo su. Il Seno aspetta un’attenzione da 17 lunghissime lettere, non si capacita di questa trascuratezza. Prima il destro e poi il sinistro, o viceversa, come sei comodo. Ora possiamo restare qui, sul Torace: propongo un’esplorazione meticolosa, un millimetro alla volta. Dal Torace passiamo alle Ulne, tutte e due. Non hai idea della piacevolezza che si irradia a tutto il corpo dai baci ben dati lungo le braccia.
Con la V è facile: torniamo un attimo al concetto di Torace, che mi metto di schiena. Le vedi quelle? Sono le Vertebre e ne ho 34: questo vuol dire che per baciarle tutte potrai metterci un po’ di tempo, ma io non ho fretta.
O meglio: un po’ di fretta adesso mi sta venendo. Quando hai finito con le Vertebre passiamo alle Zone erogene.
giovedì 6 maggio 2010
Vivere insieme a me
Sono una persona orribile. Davvero. E vivere insieme a me non deve essere una cosa semplice. Tanto per cominciare vivere con me equivale a vivere più o meno da soli: esco di casa la mattina alle 7 e torno a casa la sera alle 7. Sempre che non debba fermarmi in ufficio più del previsto, il che significa che, tra straordinari e attese pendolari, si fanno le 8 come niente. Chi vive con me sa che se rientro dal lavoro dopo le 19.45 è necessario accogliermi con del martini con ghiaccio, olive e formaggi, il silenzio perfetto. Meglio se riesce anche a procurarmi del sushi. Non faccio la spesa. Non preparo la cena. So essere molto acida e tra le mie espressioni ricorrenti c’è quella che indica la seccatura. Mi occupo della casa con cura, ma solo quando ho tempo, e mi è capitato di obbligare i miei ospiti a togliere le scarpe durante una serata di pioggia perché avevo appena lavato i pavimenti e non mi piaceva per niente l’idea che le loro suole infliggessero orme infangate al mio parquet da quattro soldi. Ho un rapporto cromatico con l’arredamento e compongo fantasie di colori comprensibili soltanto al mio occhio mentre ripongo i vestiti o stendo la biancheria. Una sera alla settimana faccio yoga, ho amicizie da coltivare, studi da portare a termine, letture da concludere. In pratica ho sempre qualcosa da fare. Incluso il sonno da recuperare. Non sono una che rompe eccessivamente quando ha la sindrome mestruale, anche se resta pur sempre un alibi di cui mi servo con regolarità. Chi occupa il posto di coinquilino ha preso nota: dunque va a fare la spesa, mi prepara la cena, mi asseconda se serve e ha fatto l’abitudine ai quattro orrendi straccetti infeltriti che amo indossare nell’intimo della mia dimora. Assecondarmi significa anche, tra le altre cose, convivere con gli scheletri che tengo nell’armadio e con la polvere che talvolta infilo sotto ai tappeti. Sono autonoma e indipendente, cosa cui è necessario far l’abitudine da subito: il mio proverbio preferito è chi fa da sé fa per tre. E mi aspetto la stessa emancipata autosufficienza. C’è da dire comunque che non litigo mai: non per pacifismo emotivo, ma per radicata convinzione che non occorra sprecare una sola parola per argomentare la mia indiscutibile ragione. Insomma, come dicevo, sono una persona orribile.
lunedì 3 maggio 2010
La regola dell'eccezione
Oggi mi sento seria. E non ridete. Vi propongo un tema impegnativo, qualcosa su cui vi invito a cogitare senza ritegno:
appurato che nel mondo ci sono delle regole incontrovertibili, quanto siamo sedotti dalle eccezioni?
Ho trovato il concetto variamente declinato in musica e letteratura. Esempi:
“Are you such a dreamer? / To put the world to rights? / I'll stay home forever / where two & two always / makes up five” RADIOHEAD, 2+2=5
“Sono d'accordo anch'io che il due per due quattro è una cosa eccellente; ma se proprio si ha da lodar tutto, anche il due per due cinque a volte è una cosuccia graziosissima” F. DOSTOEVSKIJ, Memorie del sottosuolo
Per quanto io stimi entrambi, dubito che questa idea del due e due che fa quattro ma ogni tanto anche cinque sia di Thom Yorke o del vecchio Fedor. Se esiste, per il concetto, una qualche comune radice filosofica, io la ignoro completamente, mentre qualcuno di voi potrebbe averne notizia, o aver incrociato per caso simili citazioni. In caso vi pregherei di dar sfoggio della vostra erudizione e segnalarla.
Comunque, quel che voglio dire è che io questa cosa l'ho sempre trovata geniale: noi abbiamo bisogno dell'errore, meglio ancora se riusciamo a travestirlo da eccezione a una regola consolidata. Mi spiego: per quanto noi ci si ritenga dotati di un cervello pensante in grado di risolvere problemi anche piuttosto complessi, l'idea che anche nei teoremi possa accadere qualcosa di imprevisto e imprevedibile non può che farci piacere. Lì per lì magari ci disorienta, ma sapere che le nostre giornate non sono predestinate come un'equazione di secondo grado ha senz'altro un suo fascino evidente. Spalanco la porta al più bieco relativismo? Può darsi, ma è un problema di cui mi occuperò in seguito.
Talvolta 2+2=5 è proprio quello che abbiamo bisogno di sentirci dire.