Capita nella giornata lavorativa più o meno di chiunque: prendi un mucchietto di fogli da fascicolare, recuperi una pinzatrice dal cassetto segreto nel quale la nascondi per preservarla dai colleghi che passando la afferrano dicendo “te la riporto tra un attimo” e inizi a pinzare.
E senti clac. I punti sono finiti. Finiscono sempre. Arriva regolarmente l’attimo in cui tu ti fidi dei suoi servigi e lei ti delude e non pinza. Lascia anzi sui fogli quel segnetto a mezzaluna che se sei un tipo pignolo ti dà anche un po’ di fastidio a guardarlo.
E ti coglie un senso di precarietà e smarrimento. La guardi, la pinzatrice, e ti chiedi "ma proprio adesso dovevano finire?”. E non importa se prima o poi dovevano finire comunque, perché finiscono sempre e solo quando ti servono. E la giornata ti sembra subito un po’ più difficile e sai che se la follia ancora non ti ha colto, è perché riponevi le tue ultime speranze di equilibrio nella fiducia per la pinzatrice, nel pacato autocontrollo di cui gode la docile cancelleria da ufficio.
Io voglio bene alla cancelleria. Al lindo rigore delle risme immacolate, alle penne infilate con cura nel loro astuccio, alle forbici poggiate sul fondo del cassetto e alla matita che mi aspetta sul quaderno. Ho dell’affetto anche per i pennarelli, il tagliacarte e il righello da 30 centimetri. Io non mi sento bene quando la cancelleria si fa beffe del mio sentimento e mi delude.