Ci piace pensare che la Gola, tra i peccati capitali, sia tra i tollerabili. Gli scusabili. Uno di quelli per cui si può chiudere un occhio, se non altro perché è facile trovare dei complici. Facilissimo anzi: i sensi coinvolti da questa comune trasgressione interessano le viscere e gli istinti ed è facile intuire come queste riguardino tutti, anche i più attenti e virtuosi teorici della razionalità. Ma la scrupolosa diffusione del vizio non lo legittima fino in fondo. È sintomo di impulsi incontrollati e attiene all’eccesso. Dobbiamo riconoscere che l’ingordigia, questo moto sfrenato verso un sapore, l’incontinenza orale, o come la vogliamo chiamare, qualche problema potrebbe causarlo.
Ora confesso qui le mie debolezze, quei gusti per i quali la bocca e la lingua, mai sazie, chiedono e pretendono ancora.
Tra i miei appetiti c'è la meringata. So che molti di voi la ritengono stucchevole. Non io, se preparata con maestria tocca il giusto punto di dolcezza, quello che esalta più di un senso e non disgusta: il connubio della meringa con la panna ti scioglie la lingua e ti fa pensare che sia inevitabile continuare a mangiarne ancora e ancora. Mi succede anche con certe diaboliche patatine e con i pistacchi, che rapiscono e sottomettono le labbra e la saliva. E i baci di dama, quando seducono la bocca con burro e cioccolato. Mi è capitato, ma solo a volte, con gli chantilly e con il sushi, con la focaccia in pausa pranzo. E poi con il gelato d’estate e le ciliegie. Con certi rum e con il calvados. Ci sono sapori che incantano e non bastano mai.
domenica 30 gennaio 2011
Che peccato, la gola
lunedì 17 gennaio 2011
Lo metto sul Curriculum
Gennaio è il mese in cui amici e conoscenti ti portano a cena e dicono “Ehi, per l’anno entrante tieniti libero il giorno tale del mese tale ché mi sposo”. E infatti è puntualmente successo. Come puntualmente mi succede da molti gennai a questa parte. E io mi sono specializzata e ora sono l’Invitata che tutti vorrebbero avere: piaccio ai parenti e agli amici, so camminare sui tacchi, vengo bene nelle foto, partecipo con poco entusiasmo ma con la convinzione richiesta al lancio del bouquet. Ho danzato in chilometri di trenini, mangiato vagonate di torte nuziali accompagnate da spumanti di ogni etichetta e, naturalmente, conosco a memoria Gioca Jouer.
Sul master in Testimonianza aprirei un discorso a parte: ispiro fiducia, chissà, al punto che ho apposto la mia firma, in riti civili e religiosi, su un numero di registri che ora mi sfugge, certificando in questo modo la buona fede dei contraenti le nozze. Sono quindi stata immortalata con gli sposi a braccetto sull’altare o coi calici alzati, gli occhi brilli di vino e fatica. Ho organizzato addii al nubilato e presenziato a scelte di abito. È un lavoro a tutti gli effetti, ne converrete. Posso dire con orgoglio di non aver mai indossato lo stesso vestito e vanto una discreta conoscenza del tema Le tableau de mariage, o l’arte della composizione dei tavoli. Ho visto parenti mal assortiti e neo sposi litigare, ma anche consuoceri abbastanza lontani se necessario e amici di lui flirtare con amiche di lei grazie a seggiole provvidenzialmente vicine.
L’aneddotica si fa potenzialmente sconfinata ma quel che mi preme adesso è riportare una predica in particolare, ad opera di un frate illuminato per il quale nutro stima e rispetto senza fine. Lui disse, nel bel mezzo del rito e guardando negli occhi gli sposi innamorati: “io adesso dovrei dirvi tanti auguri, quella è la porta, andate a vivere felice e contenti. E invece no. Quel che vi dico è un’altra cosa: sarete sì felici, ma non sarà facile perché da questo momento e per ogni giorno voi dovrete perdonarvi di essere uno un limite alla vita dell’altro”. Che il celebrante si soffermi, dopo la sensualità del Cantico dei Cantici, ad anticipare le potenziali sciagure della vita comune succede spesso, ma la scelta efficace del concetto di limite mi è capitata solo quella volta. Un brivido ha attraversato le schiene dei presenti, accoppiati e non, e s’è proprio sentito che un paio di loro stavano per darsi alla fuga. Gli sposi mi pare.
Io, in quanto Invitata professionista, ho preso appunti per le mie cronache.
martedì 11 gennaio 2011
Lo scatto di Grazia
È un autoscatto. Alla redazione non l’ho detto però che non è una foto recente: è un’immagine che ha già qualche anno sulle spalle. Quattro mi pare. Ma secondo me li porta bene, anche se potrei non essere obiettiva nel verificare se e quanto si discosta dall’originale.
Le foto raccontano delle storie e io, che fotografa non sono, lascio che siano altri a raccontarle. Però di questa immagine vorrei parlare, perché le voglio bene. Se la guardate con attenzione ci potreste persino vedere me lì sotto al cappello. E, se non volete rischiare di veder contraddetta quella mich che avete immaginato finora, evitate di posarci lo sguardo troppo a lungo.
Comunque, per il bene che le voglio, l’ho scelta per rappresentarmi in questa settimana in cui mi hanno fatta ospite. Ci sono cinque miei pezzi sul Blog di Grazia Magazine. Un paio li conoscete già, altri invece no.
L'ospite della settimana: Mich (in sintesi)
2. Davvero me lo stai chiedendo
domenica 9 gennaio 2011
L'elogio del sonno
Sarà banale ma per quanto riguarda me è tra le più vere delle affermazioni: il sonno rende migliori. Rende più bella la pelle, l’incarnato più luminoso, lo sguardo più invitante, le labbra più morbide.
Ci sono quelli che non amano dormire e, pur non condividendone la scelta, ne rispetto il sentire, ma mi spiace sinceramente per quelli che dicono proprio “detesto dormire”. Perché dormire fa bene.
Fa bene, capito? In genere rimaniamo scettici quando viene chiesto a una qualche divina top model (il mio riferimento in proposito è Gisele Bundchen) “qual è il segreto della tua bellezza?” e lei risponde “dormo molto”, ma alla fine io sono sicura che in qualche misura sia vero. Poi occorre anche molto altro, che Gisele possiede, ma chiudere gli occhi e dormire regala un tale benessere che mi sento di includerlo senza smentita tra le pratiche migliori con cui prendersi cura di sé. Gratis. Sono mesi che mi applico con regolarità una cremina per il contorno occhi tra le più economiche in commercio e che risulta costare, facendo una rapida proporzione, qualcosa come 50 € l’etto. Ebbene, tale unguento non ha avuto sulle mie zampe di gallina lo stesso effetto di dieci giorni di vacanza che si è composta, tra le altre cose, di generose dormite.
Com’è mia abitudine ho cercato di verificare empiricamente, per poterle dettagliare con cura, quali siano le caratteristiche di un sonno efficace. Dunque, in primo luogo è necessario liberarsi dalla natura utilitaristica del sonno. Mi spiego: se arrivo da mesi di lavoro con sveglia all’alba tutte le mattine e weekend evaporati in varie forme di faccende, è normale che passerò i primi tre giorni di vacanza a dormire e lo farò perché è il fisico stremato a chiederlo. Quei tre giorni non avranno sulla pelle quasi alcun beneficio. È dal quarto in avanti che il prodigio si compie. La seconda caratteristica di un sonno efficace è la capacità di abbandonarsi a quell’incoscienza prolungata senza sensi di colpa. Questa è la parte difficile e fare esercizio in merito è necessario. Vi suggerisco di trattare il sonno come una sessione di addominali. Mica vi sentite in colpa di stordirvi di addominali, no? Ecco, convincetevi che dormire vi tonifica allo stesso modo. Scolpisce la tartaruga della vostra lucidità e regola il vostro respiro. Oltre a rendervi morbidi, seducenti e appetibili. Ulteriore condizione ideale per un sonno che regali intimo benessere oltre che riposo è la predisposizione ad assecondarne la presenza nelle vostre giornate: dopo l’amore, dopo mangiato, prima di uscire, dopo aver fatto un bagno caldo.
In definitiva, del sonno, perché sia efficace, non dobbiamo avere bisogno.
lunedì 3 gennaio 2011
New Deal
Il fatto che questo sia il primo pezzo dell’anno potrebbe indurvi a pensare che si tratti di un post di bilanci e di ricchi propositi. O di auguri ed intenti. Non è così. Non del tutto almeno. Se di propositi si tratta, hanno iniziato a farsi strada da tempo e ora, complici alcuni giorni di vacanza mollemente adagiata su intenzioni generalmente inascoltate, si decidono a prendere forma.
Inizio con il raccontarvi una cosa. Esistono persone che sono bravissime a nascondere e reprimere. Ma proprio dei periti della dissimulazione. Gente cui hanno insegnato che le parole per le emozioni non serve nemmeno cercarle. Che anzi trovarle non è di nessuna utilità. Confonde le idee e lascia storditi i comunicanti.
Uno inizia in genere con il celare scrupolosamente le emozioni negative, o presunte tali: la rabbia, il fastidio, l’intolleranza, la sofferenza e l’insofferenza. Poi, quando ormai si è specializzato nella disciplina, si iscrive a yoga e, a metamorfosi completa, diventa inaspettatamente bravissimo anche a nascondere le emozioni positive. Ed ecco comparire moderati entusiasmi, sorrisi gelati, composti ardori. I professionisti della dissimulazione iniziano pensando di voler nascondere solo le lacrime e a un certo punto, senza rendersene conto, diventano così bravi che nascondono anche i sorrisi. Raggiungono il loro obiettivo nella pietra delle loro reazioni. Nella lapide insomma.
I miei auguri per il 2011 sono per gli esperti di cui sopra. Auguro a quegli impostori di imparare nuovi criteri di relazione. Auguro loro di scoprire il modo di ricominciare da capo, di dimenticare che gli hanno insegnato che è un pregio sapersi nascondere. Ora che sono capaci di farlo è bene che apprendano anche a svelarsi. Prendendosi il rischio di sembrare goffi e maldestri, di sembrare ridicoli, di dire anche le cose più faticose e di fare le domande più scomode.
Auguro alla categoria dei dissimulatori di non cedere soltanto a quel che ormai hanno acquisito, ma di imparare a darsi la scelta: una volta occorre occultare, tal altra è necessario urlare.