martedì 19 luglio 2011

Gli occhi della triglia


Nella fisiologia dell’amore ricorrono sovente immagini di natura faunistica, ortofrutticola e culinaria. Pensiamo ad esempio all’aggettivo cotto, che ritroviamo accanto ai più svariati alimenti, dalla pera al salame (anche se c’è da dire che l’insaccato lo incontriamo anche da solo, senza aggettivi, malizie escluse). L’invaghito si riconosce in genere perché lui non cammina, volteggia, correndo per praterie color confetto. La distrazione è un altro dei suoi tratti caratteristici, e ci ritroviamo con tanto di nuvole in cui nasconder la testa e sguardo perso da stoccafisso. Un innamorato è poi spesso preda di farfalle, di ardori suini e di voli rapaci. Ma il mio animale preferito è senz’altro la triglia. L’occhio del pesce è quello che meglio sembra descrivere il tipo di espressione che accomuna gli innamorati: pupilla dilatata, inespressività della palpebra, bulbi sbarrati. C’è qualcosa di incredulo nello sguardo delle triglie, una specie di domanda muta e arrendevole, qualcosa tipo "dove sei?” o, più probabilmente, “sono fritto?”.

giovedì 7 luglio 2011

Pomeriggio di luglio

L’estate regala ore di beatitudine, è noto. Ore nella quali l’afa che incolla i vestiti rimane fuori dalla porta, in strada, lontana e inoffensiva. Sono quei momenti del pomeriggio nei quali ci si regala l’immobilità su lenzuola fresche, quella semioscurità che accarezza i pensieri, le tende che frusciano, percettibili moti d’aria che ci godono intorno. Son di quei pomeriggi nei quali il rigore del pensiero e il raziocinio si fermano e l’inarrestabile sequenza delle deduzioni logiche trova pace. Ce ne stiamo quindi distesi placidi nella penombra, nella quiete, tanto più vera quanto più in contrasto con le ansie e il groviglio meccanico dei pensieri quotidiani. Qualche fortunato fa anche l’amore, purché all’amplesso possa seguire la nudità del sonno.