martedì 31 dicembre 2013

Una poesia (che non ho scritto io)

Mi sono appena svegliato.
Sulla mia guancia si raggruma la terra.
Hanno un colore oscuro i miei pensieri.
Ma già irrompono spicchi luminosi
del mondo che ho davanti, ove qualcuno
mi chiama a vivere.


Margherita Guidacci (da Neurosuite,1970)

giovedì 12 settembre 2013

Di quando ho provato la bici da cross



“Guarda quella scheggia! È dei nostri?”.

Mentre lo chiede la guarda con incredula sorpresa: la bimba ha nove anni e schizza con la bmx nel percorso a ostacoli. È velocissima. Si butta nei fossi, riemerge dal fango su ponticelli semoventi, dune artificiali, sentieri di ghiaia. L’ultimo tratto è un rettilineo su prato, facile. Prende velocità e arriva al traguardo con il trillo del cronometro che annuncia il tempo migliore della squadra, di tutte le squadre.

“Maestra, sono andata bene?” lo chiede col fiatone, il fango sulle ginocchia, il caschetto aggrappato al mento.
“Sei in testa!”. Lo dice con trionfo e allegria. La bimba più veloce del torneo.

“Tocca a te adesso”. Si gira verso di me, sul volto ancora il giubilo del record della mia compagna. Voglio quello stupore anch’io, che mi guardi con quello stesso stupefatto saluto. Lo penso con invidia e preoccupazione mentre sistemo le ginocchiere e stringo il casco. 
La bicicletta è troppo alta, ma non lo dico ad alta voce. 

Sono sulla striscia di partenza, tirata a calce sul prato. Il cronometro parte, l’insegnante strilla. Via.

Mentre cerco il ritmo e la velocità penso che voglio fare come lei, che desidero lo stesso suo vivace balzo nella terra, allacciata al manubrio con quella furia gioiosa e prepotente. Desidero la sua raggiante incoscienza, anche se ancora non so che si chiama così.





Mentre sono sull’ultimo rettilineo, quello che mi conduce al traguardo, dove mi immagino di trovare lo stesso divertito entusiasmo, ho il tempo di pensare che ho avuto paura, almeno un paio di volte, di cadere.

“Maestra, sono andata bene?” lo chiedo frenando.
“Sì, bene” risponde lei.

giovedì 4 aprile 2013

La saponetta



Esistono gli individui saponetta. Quelli che scivolano via, anche quando li tenete con entrambe le mani. A volte ambigui, a volte talmente cristallini, nel loro indietreggiare, da non poterli accusare di ambiguità. Consapevoli o meno della loro fuggevolezza, è bene imparare a guardarsene, in particolare se appartenete alla fortunata schiera dei decisionisti. Quelli concreti, quelli chiari che esigono altrettanta chiarezza, quelli saldi. Gli individui saponetta non sanno, o non possono, darvi niente di più di qualche morbida bolla, un po’ di profumata idratazione, qualche  aroma soffice al tatto.

domenica 10 febbraio 2013

Che peccato, la superbia



Tra i peccati è forse più comune di quanto non si tenda a pensare. Quello con cui facciamo i conti, talvolta inavvertitamente, ogni istante della giornata. Anche le persone più miti, i timidi, gli insicuri. Nessuno è davvero escluso dalla tentazione del tutto umana di ritenere il proprio esistere e il proprio sentire migliore di quello altrui. La superbia è tra i peccati più difficili da stanare, perché il confine con la giusta opinione di sé può essere talmente sottile, inavvertibile quasi, che individuarlo diventa un esercizio di critica che non sempre val la pena di compiere. Eppure ci capita di continuo.

Siamo superbi ogni volta che non abbiamo dubbi, ogni volta che pensiamo di aver capito. Ogni volta che riteniamo la sfida una lusinga ma l’avversario non all’altezza. Siamo superbi quelle volte che riusciamo a ridurre al silenzio oppure che ci restiamo noi, in silenzio, per dileggio dell’interlocutore. Tendiamo all’arroganza, talvolta, l’istante in cui comprendiamo che l’abilità dialettica è in grado di sedurre. Ogni volta che la nostra opinione espressa, sia stata o meno pretesa, intaglia ferite negli animi sensibili. Ogni volta che, in un modo o nell’altro, ci sentiamo persuasi che il nostro parere sia necessario.




Che peccato, i peccati. Una piccola serie:
Accidia
Ira
Invidia
Gola
Lussuria

lunedì 7 gennaio 2013

Il piacere di fare le cose

E' molto semplice e sono stata molto sciocca a non pensarci fino ad ora. 
L'ho considerato scontato, l'ho dato per acquisito senza bisogno di elaborarlo, presa come sono dalle mie piccole soddisfazioni personali, da quello che ottengo, dal modo in cui cerco di accordare fato e volontà per tenere tra le mani quello che amo. E non ho mai realizzato sul serio che tutto siede sulla capacità (l'abilità, l'intraprendenza, la fortuna sfacciata) di saper trattenere con noi qualcosa che ci piace fare.

Trovare qualcosa che ci piaccia fare. 

Non parlo del lavoro: quello se c'è bene, se vi piace meglio ma tanto sapete che non vi potrà piacere per sempre, o comunque non allo stesso modo. Parlo di altro, parlo di tutte quelle attività, anche minuscole, che ci sappiano riempire la mente e la affatichino. Qualcosa che la affatichi a sazietà.

Privi di questa sazietà, che non è appagamento e può ugualmente accompagnarsi all'inquietudine dell'insoddisfazione, purché costruttiva, ogni azione diventa incomprensibile e vana.
L'incomprensione paralizza, terrifica. Fa così spavento che l'immobilità sembra l'unico possibile rimedio. Immobili ci sentiamo al sicuro, nella tiepida illusione che non sapendo nuotare forse è meglio restarsene a riva. Privi di quel piacere di fare le cose il mare aperto mette paura. Ma capita, si sa, che i mari chiusi non esistano, per fortuna.