venerdì 25 febbraio 2011

Molti modi per farsi del male

Assecondare regolarmente gli amici quando vogliono vedere al cinema quei film che sappiamo a priori che non ci piaceranno.

Appostarsi sotto casa dell’indimenticato e indimenticabile aspettando che esca, sapendo già che in genere non ne esce da solo.

Fare la dieta del minestrone.

Fare la dieta del minestrone eliminando patate e legumi.

Far seguire la dieta del minestrone da quella del fritto misto alla piemontese.

Leggere e rileggere vecchie lettere, cartoline, mail. Dediche sui frontespizi dei libri e sulle copertine dei cd masterizzati.

Fare domande di cui non si conosce la risposta.

Fare all’inguine una ceretta estrema.

Andare in bici dopo aver fatto all’inguine una ceretta estrema.

Dover scegliere tra nostalgia e rassegnazione.

Lasciar correre quando sappiamo che si tratta di una faccenda importante e che una nostra presa di posizione è necessaria. Oltre che salutare.

Mangiare seitan dicendo “mh, che buono”.

Anche trascurare le persone che amiamo fa malissimo.

Darla vinta costantemente al senso del dovere.

Fingere l’orgasmo.

Svegliarsi la domenica mattina per stirare.

Alimentare illusioni e autoinganni.

Lasciare che la gelosia diventi paranoia.

Quella cosa della notte, il buio, dello stipite della porta, i piedi nudi e l’alluce che si infrange. O il mignolo.

Far credere alla gente di non aver bisogno di niente. Perché poi ci credono.


(il catalogo è in aggiornamento, potete suggerire)

giovedì 24 febbraio 2011

Astenersi perditempo

Ultimamente succede una cosa quando mi diverto a controllare attraverso quali Parole Chiave i naviganti finiscono per caso da queste parti. Succede che le leggo e mi viene da ridere. Ma tanto, più del solito. Mi viene da ridere perché ultimamente tra le Parole Chiave, oltre ai soliti spassosi riferimenti alle adolescenti vogliose o alla necrofilia veterinaria, trovo intere frasi prese dai miei pezzi e buttate su google in cerca di chissà cosa. Il che significa che tra i miei lettori c’è qualche sfaccendato che trova il tempo e la voglia di verificare se qualche asserzione che trova particolarmente riuscita è frutto di un plagio o di chissà quale riciclo. Che qualcuno investa il proprio tempo in tal modo dovrebbe forse lusingarmi e in parte è così. Ma non del tutto, per una serie di motivi. Tanto per cominciare mi sembra ridicolo che qualcuno si prenda l’incomodo di controllare le eventuali fonti dell’ultima delle blogger, con tanta gente davvero influente che gira in rete. In secondo luogo mi dà veramente fastidio che si metta in dubbio l’originalità di quello che scrivo. Invito quindi cortesemente il lettore di cui sopra a sloggiare e a trovarsi in fretta un’occupazione soddisfacente di qualunque tipo. Gli dico anche un’altra cosa. Se gli sembra di aver già letto o sentito da qualche parte le cose che trova qui non perda tempo a cercarle: è vero. Racconto e disserto attorno a materie e contenuti già raccontati e dissertati da altri, da sempre. Non metto il copyright sui temi, ma lo metto senz’altro sulle parole. Se ha voglia di avvicinarsi a qualcosa di profondo, imperituro e inesauribile da un punto di vista intellettuale la smetta di leggere i blog e si accosti ai classici della letteratura.

domenica 20 febbraio 2011

Fenomenologia del colpo di sonno in treno

Ci vuole contegno e una certa funambolica abilità per addormentarsi con classe in una vita pendolare. Il treno, lo sanno tutti, sa cullare come pochi altri mezzi e il ritmico scivolare dei binari regala momenti di raro lirismo onirico. I peggiori dormitori ferroviari in assoluto sono quelli che non hanno contezza del loro stato: li riconoscete perché ciondolano in avanti, facendo piccoli scatti per tirar su la testa in un maldestro tentativo di veglia. Ad alcuni scende anche la mandibola, con indecorosa apertura della bocca, labbro inferiore esposto. Questi sono gli inesperti, perché tale sconveniente siparietto si può evitare. Seguitemi. Tanto per cominciare dovete rendervi conto di quando il sonno sta per giungere: è inevitabile, lo sapete che vi vincerà e non deve cogliervi impreparati. Assecondatene l’avanzare chiudendo il libro che state leggendo, perché non vi caschi in terra, per non stropicciare le pagine nel dormiveglia. Appoggiate poi la testa in modo stabile e non fate gli schizzinosi con il sedile. Se siete pendolari abituali da anni dovreste aver superato il terrore dei germi insediati nel vagone e il vostro sistema immunitario dovrebbe aver sviluppato anticorpi specifici per la promiscuità quotidiana tipica di trenitalia. Quindi non fate i sofisticati e non vi opponete al contatto tra la vostra nuca e la fodera stinta del sedile. L’ideale è fare delle timide prove di perdita di coscienza, per capire se il peso della fronte vi porta in avanti oppure se il baricentro è stabile. Fondamentale perché il sonno vi colga preparati è dunque assicurarsi di non lasciare spazio all’oscillazione del capo. Non funziona quasi mai e cascherete in avanti comunque due volte su tre, basta un’accelerazione improvvisa o una frenata indelicata, ma vale comunque la pena provarci.

venerdì 18 febbraio 2011

Che peccato, la lussuria

L'orgasmo quando resta in attesa lungo le vertebre, quando aspetta compresso nel ventre, nell'interno delle cosce. Adoro quando ci giochi, con il mio orgasmo, quando lo tieni in equilibrio tra lembi di pelle. Adoro quando lo tieni sospeso, quando lo guardi, immobile, e gli sorridi, ma ancora non lo inviti a restare. I respiri contratti, nell'istante che precede il piacere, un istante da fare durare.

martedì 8 febbraio 2011

Bacio, che baci, ti bacio

Vi siete mai trovati attorno a un tavolo con amici fidati a far la radiografia ragionata di un sms potenzialmente malizioso che si conclude con “Baci”? Sì, vero? Anch’io. E sarò sincera con voi: ho studiato retorica, mi piacciono le parole e ho una discreta esperienza come analista di umani pensieri, se non altro per tutti quelli che mi si chiede periodicamente di sezionare. Ecco, in virtù del mio approccio scientifico e privo di subdole influenze soggettive, ve lo confermo: “Baci” non vuol dire niente. “Baci” in chiusura di messaggio non significa “noi ci rotoleremo da qualche parte quanto prima”, bensì “ti saluto, ci sentiamo presto e stammi bene”. Se poi lo troviamo accompagnato da una sequela di punti esclamativi, “baciii !!!!”, e il mittente ha superato i 15 anni, state certi che equivale a una cordiale stretta di mano.

Diverso è il discorso quando ci troviamo di fronte “un bacio”, meglio ancora senza articolo, “bacio” e basta. Il singolare al posto del plurale rende concreto il saluto e lo priva per fortuna del generico sconforto dei “baci” multipli. Par di vederlo, quel bacio. C’è un pensiero vero lì dentro, declinato nelle forme diverse d’amore che possono animare i due interlocutori. Se ti saluto con “bacio” sto muovendo dei sentimenti, li sto porgendo, sto dicendo a chiare lettere che ti penso in modo fisico.

Ma l’unico saluto che ci zucchera le labbra e che regala illusioni, miraggi e un sorriso di speranza, secondo me, è quello che al pensiero fisico aggiunge il destinatario. Ci si slaccia quasi il cuore quando lo si scorge al fondo di un messaggio: “ti bacio”.

Mi basta poco. Che volete, son persona semplice: ho esigenze elementari.