giovedì 12 settembre 2013

Di quando ho provato la bici da cross



“Guarda quella scheggia! È dei nostri?”.

Mentre lo chiede la guarda con incredula sorpresa: la bimba ha nove anni e schizza con la bmx nel percorso a ostacoli. È velocissima. Si butta nei fossi, riemerge dal fango su ponticelli semoventi, dune artificiali, sentieri di ghiaia. L’ultimo tratto è un rettilineo su prato, facile. Prende velocità e arriva al traguardo con il trillo del cronometro che annuncia il tempo migliore della squadra, di tutte le squadre.

“Maestra, sono andata bene?” lo chiede col fiatone, il fango sulle ginocchia, il caschetto aggrappato al mento.
“Sei in testa!”. Lo dice con trionfo e allegria. La bimba più veloce del torneo.

“Tocca a te adesso”. Si gira verso di me, sul volto ancora il giubilo del record della mia compagna. Voglio quello stupore anch’io, che mi guardi con quello stesso stupefatto saluto. Lo penso con invidia e preoccupazione mentre sistemo le ginocchiere e stringo il casco. 
La bicicletta è troppo alta, ma non lo dico ad alta voce. 

Sono sulla striscia di partenza, tirata a calce sul prato. Il cronometro parte, l’insegnante strilla. Via.

Mentre cerco il ritmo e la velocità penso che voglio fare come lei, che desidero lo stesso suo vivace balzo nella terra, allacciata al manubrio con quella furia gioiosa e prepotente. Desidero la sua raggiante incoscienza, anche se ancora non so che si chiama così.





Mentre sono sull’ultimo rettilineo, quello che mi conduce al traguardo, dove mi immagino di trovare lo stesso divertito entusiasmo, ho il tempo di pensare che ho avuto paura, almeno un paio di volte, di cadere.

“Maestra, sono andata bene?” lo chiedo frenando.
“Sì, bene” risponde lei.