giovedì 31 marzo 2011

La saggezza e i vestiti nuovi

Oggi compio 30 anni. Non sarò mai più così saggia in tutta la vita. Da domani la mia celebre integrità, la mia invidiabile precisione, la mia rinomata serietà dovrebbero iniziare la loro parabola discendente. Almeno, così dicono. Ho già cominciato dimenticando appuntamenti, confondendo date e scordando di pagare l’affitto. C’è da dire che mi sto esercitando ma che sono alle prime armi, perché non essere saggi è come imparare a camminare: un passo via l’altro prima di correre sereni tra le braccia della sprovvedutezza. Non è mica da tutti accostarsi con serenità al venir meno della rettitudine in tutte le sue forme, per non dire di quanto sia difficile relazionarsi con limpida maestria all’imprudenza e alla scriteriatezza. Io non so se imparerò mai, però intendo applicarmi. C’è questo vestito inamidato che tengo addosso da 30 anni e vorrei riappenderlo nell’armadio. Lo conservo comunque da parte perché secondo me verranno occasioni in cui mi servirà ancora, però adesso devo sviluppare il mio guardaroba. Sono 30 anni che compro vestiti e ancora non ho niente da mettermi.

domenica 27 marzo 2011

Teenage memorys

Oggi prendo un mio vecchio classico, il ricordo ludico dell’adolescenza e della tardo-adolescenza, e condivido con voi le memorie di quella stagione. Di quell’età sentimentalmente terribile che va suppergiù dai quattordici ai sedicidiciassette anni e durante la quale ti si svelano uno a uno, con un lessico degno del migliore teen-movie, i segreti di quello che ti aspetterà nelle relazioni future. Ho un piccolo prontuario di micro-ricordi da spartire:

Vi siete visti?

E ti ha toccato le tette?
Ci ha provato ma non volevo

Come bacia? (1)
Così così
Lingua a?
Lingua a macinino

Come bacia? (2)
Beh…
Lingua a?
Lingua a cotoletta (ndr. ciao Simone!)


Ci facciamo una storia?
Sì.
(seguono quaranta minuti di baci sulle panchine ai giardinetti)

(in discoteca)
Vieni sui divanetti?
Sì, ma non faccio niente

Limoniamo?
In che senso?

Ho portato i goldoni
Chi?

Sei venuta?
Dove?


E le vostre, di micro-memorie?

martedì 22 marzo 2011

Un'amore

Credo nell’ortografia. Credo nella i di camicie e nell’apostrofo dopo un po’. Credo nell’elisione dell’articolo, nel genere dei sostantivi e nell’accordo con gli aggettivi. Ho creduto a lungo che esistesse un manuale per ogni sintassi, una soluzione per ogni equazione e che tutte le domande prevedessero risposte esatte.
Nonostante l’allegra fiducia nel metodo scientifico con la quale mi accosto ai disegni del caso, di qualunque natura essi siano, pare che a volte succeda che l’emisfero cerebrale destro, in perfetto accordo con quello sinistro, se ne vada in cortocircuito e i conti perfetti e i teoremi dimostrati decidano di non tornare più. Anche la consecutio dei tempi inizia a godere di qualche autonomia e il conto dei giorni e il passare delle stagioni non trovano più riscontro sull’agenda impeccabile delle umane faccende.
Cercherò di spiegarmi, la materia è ostica ma credo accessibile. Con il contributo di testimonianze empiriche e confidenze concesse, ho potuto verificare l’esistenza concreta di variopinti scempi dell’irrazionalità, tra i quali quello che chiamerò adesso un’amore. Un’amore dimentica le grammatiche, è quello che trova ridicole le convenzioni e la manualistica delle buone maniere. È un’amore quando pensi che sia sbagliato, per il suo metodico sfuggire alla coscienza e ai principi della sana coerenza. È un’amore quando fa venire il singhiozzo come l’acqua quando ti va di traverso. Quando strizzi gli occhi perché c’è troppa luce e rischi di andare a sbattere. Quando sbagli i congiuntivi della ragionevolezza. L’unico principio scientifico cui risponde è la proporzionalità della dinamica: più gli sfuggi e più t’insegue.
Non so se ho capito bene, la materia non è la mia. Voi li avete avuti gl’amori?

lunedì 14 marzo 2011

Della sveglia e delle possibilità

Io non mi fido del tutto delle macchine. Mi fido solo della calcolatrice in realtà. E della somma automatica di excel. E di poco altro. Io, per dire, che uso il telefono per svegliarmi, non riesco a impostare con serenità l’opzione Sveglia On nei Giorni Feriali. Non mi fido, secondo me non suona. Per questo motivo io, da sempre, da quando ho facoltà di svegliarmi autonomamente, vale a dire più o meno da quando avevo sette anni, mi punto la sveglia ogni sera. Tutte le sere infilo il pigiama, mi infilo nel letto e imposto la sveglia. A seconda delle varie fasi della vita, caratterizzate dalla scuola dell’obbligo, dal pendolarismo liceale, dagli agi universitari e dalle gabbie dei tempi imposti professionali, l’orario della levata è cambiato. Ma non è mai cambiato il rito. Perché di questo si tratta. Di un rito. Sulla compulsività di certi miei rituali e sulle consuetudini che mi accompagnano credo che vi siate fatti un’idea in più occasioni. Per questo motivo potete immaginare l’orrore e il turbato sgomento con il quale ho accolto, l’altro giorno, la terrifica novità: ho scordato di puntare la sveglia. Per la prima volta nella vita, la prima, posso giurarlo, ho permesso che il sonno mi cogliesse senza preventivamente decidere a che ora dovevo riaprire gli occhi. E il giorno dopo era lavorativo. Lavorativo, capite? Abituale sveglia alle 6.03, ostaggio di Trenitalia. E invece no. Qualcuno, forse l’inconscio, ammesso che io ne abbia uno, ha deciso che no, che dovevo catapultarmi fuori dalle coltri con un’ora di ritardo, senza colazione, con la gonna per traverso, i capelli stropicciati.
La cosa incredibile è che sono sopravvissuta. Sono scampata alle mie mancanze: alla distrazione, la disattenzione, la negligenza. La portata dell’evento è tale che ho iniziato a credere nell’improbabile.