giovedì 23 giugno 2011

La pinzatrice, piccola storia della follia

Capita nella giornata lavorativa più o meno di chiunque: prendi un mucchietto di fogli da fascicolare, recuperi una pinzatrice dal cassetto segreto nel quale la nascondi per preservarla dai colleghi che passando la afferrano dicendo “te la riporto tra un attimo” e inizi a pinzare.

E senti clac. I punti sono finiti. Finiscono sempre. Arriva regolarmente l’attimo in cui tu ti fidi dei suoi servigi e lei ti delude e non pinza. Lascia anzi sui fogli quel segnetto a mezzaluna che se sei un tipo pignolo ti dà anche un po’ di fastidio a guardarlo.

E ti coglie un senso di precarietà e smarrimento. La guardi, la pinzatrice, e ti chiedi "ma proprio adesso dovevano finire?”. E non importa se prima o poi dovevano finire comunque, perché finiscono sempre e solo quando ti servono. E la giornata ti sembra subito un po’ più difficile e sai che se la follia ancora non ti ha colto, è perché riponevi le tue ultime speranze di equilibrio nella fiducia per la pinzatrice, nel pacato autocontrollo di cui gode la docile cancelleria da ufficio.

Io voglio bene alla cancelleria. Al lindo rigore delle risme immacolate, alle penne infilate con cura nel loro astuccio, alle forbici poggiate sul fondo del cassetto e alla matita che mi aspetta sul quaderno. Ho dell’affetto anche per i pennarelli, il tagliacarte e il righello da 30 centimetri. Io non mi sento bene quando la cancelleria si fa beffe del mio sentimento e mi delude.

domenica 12 giugno 2011

Caronte, il Traghettatore

L’abbiamo incontrato tutti. Anzi, forse qualcuno di noi lo è stato per qualche tempo: il Traghettatore. Siete appena usciti da una storia complicata, avete il cuore trafitto, il vostro baricentro balla sbilenco e ci vorrebbe proprio qualcuno che vi aiuti a rimettere insieme gli equilibri? Ecco, lui, o lei, è Caronte. La persona che nella vostra vita ha una funzione molto specifica: traghettarvi da una fase a un’altra. Da una storia finita a una storia che deve cominciare. Da un momento di travaglio a una condizione di serenità. Non importa cosa si trovi sull’altra sponda, l’importante è avere qualcuno che vi ci accompagni.

Fin qui tutto bene. Il problema nasce quando Caronte ignora l’incarico che gli è stato affidato e si convince di essere il Redentore: colui che vi farà ritrovare la Gioia perduta nell’amore passato. Il dramma non è da poco, perché anche se a Caronte si riconosce il merito di aver saputo distogliere il nostro cuore dal dolore e dall’abbandono, non sempre gli si può anche concedere di scendere a riva con noi per continuare la strada insieme. Anzi, molto di rado. Perché Caronte è così: ci conquista con la sua spensieratezza, ci regala l’oblio, mille attenzioni e dell’ottimo sesso. Poi, quando stiamo bene, quando siamo finalmente pronti per incontrare un nuovo amore, ci accorgiamo che è di troppo.

Comunicare a Caronte che il suo incarico è finito è difficile. Caronte ci troverà degli ingrati, punterà sul senso di colpa, si convincerà che il nostro improvviso bisogno di fare a meno di lui è dovuto a qualche postumo della nostra precedente relazione. Ecco, Caronte, no. Non è questione di irriconoscenza, anzi, ti sarò per sempre obbligata per la serenità che la tua presenza ha contribuito a riportare nella mia vita, ma adesso torna pure sul tuo traghetto. Grazie eh, grazie. Quando hai bisogno chiama.


Sì, stai certo tesoro che quando ho bisogno chiamo. Te e quella zoccola della tua nuova fidanzata.

mercoledì 1 giugno 2011

L'incredibellezza, trattatello sullo stupore

Esistono diverse manifestazioni dell’incredulità, quel piccolo balzo della mente di fronte all’inaspettato, e la sorpresa che ne consegue ha almeno due reazioni possibili. La prima è la codifica immediata dell’elemento sorprendente, che viene così preso e collocato tra confini riconoscibili: un incontro inaspettato, un tramonto mozzafiato, un’abitudine che va in frantumi, ma anche tutti quei piccoli traumi senza preavviso e dolori senza avvisaglia.

La seconda delle reazioni risponde a qualcosa di diverso, è più un’insolita sospensione del raziocinio e mi piace pensare che sia la sorpresa per qualcosa che conquista piuttosto che per qualcosa che spaventa. La chiamerei l’incredibellezza.

L’incredibellezza, sulla quale si soffermano poeti e cantautori da alcuni millenni, anche se non mi risulta che la chiamino così, è la nostra attrazione per l’incanto. L’incanto ci meraviglia perché ci fa chiedere se è vero, perché sfugge alla comprensione e più le sfugge più ci seduce. Propongo, per meglio spiegarmi, un catalogo di esempi, che potrete aiutarmi a completare:


L’istante in cui due dicono, pensano o fanno la stessa cosa nello stesso momento. C’è chi la chiama telepatia, secondo me è una manifestazione dell’incredibellezza.

Intuire, per una manciata di secondi, che possediamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno. E poi tornare, idioti che siamo, alle frustrazioni e alle insoddisfazioni, ma scoprirsi addosso il tatuaggio di quei secondi.

Sorprendersi, come non li avessimo mai visti prima, dei legami che si saldano, delle amiche che ti scaldano, dei sorrisi che non passano.

Anche l’ostinazione di certi sentimenti è incredibellezza.

E anche il colore di certi pezzi di mondo.