lunedì 29 novembre 2010

Nudo d'inverno

c'è un lungo bacio che mangia e che morde; ci sono mani, le sue, che mi percorrono la schiena, che cercano la pelle sottile dei fianchi sotto al maglione

ehi, ma cosa c'è qui sotto?

la camicia

sì, ma sotto quella dico, dov'è la schiena? quanti strati hai?

c'è una tshirt...

ok... ma sotto?

un body

fanno quattro livelli di indumenti?

eh

sì, ma sei io adesso volessi, per esempio, spogliarti?

mi prendo un giorno di ferie

giovedì 25 novembre 2010

Lezione di portamento

E’ tutta una questione di atteggiamento. Non importa quanto disinvolto sei o quanta sicurezza il tuo linguaggio riesce a trasmettere: l’importante è crederci. O fingere. La sostanza in fondo è la stessa. Sapete cosa mi fa credere che almeno ci stiate provando? No, niente a che vedere con battute a sproposito o pantomime dialettiche. Non serve che parliate per forza. Io guardo prima di tutto la vostra postura. Non intendo annoiarvi con quelle osservazioni retoriche sul linguaggio non verbale, le potete trovare a centinaia su google in pochi secondi, vi racconto invece quello che vedo io quando vi guardo. Mi riferisco allo spazio che occupate nel mondo: su con la schiena! Non è semplice metafora e non lo dico soltanto per evitarvi dolori articolari o per farvi respirare meglio. Non vi sto nemmeno incoraggiando alla nobile fierezza né alla dignità dello sguardo. Vi sto incoraggiando semplicemente a camminare diritti, ad accomodarvi tenendo il vostro bel sederino in linea con la vostra incantevole nuca. Assorbite le scapole, tenete le spalle larghe. Passeggiate come se la sommità della vostra testa volesse sfiorare le nuvole. O anche solo il soffitto. Io non vi capisco quando vi ingobbite, quando sedete accartocciati, quando vi presentate raggrinziti su voi stessi. Guardate che si nota. Potete anche non dire una parola per una serata intera, ma se rimarrete seduti in mezzo alla gente con lo sguardo dritto e con il mento parallelo al suolo non verrete ignorati. Perché non dovete essere brillanti a tutti i costi, dire cose intelligenti al momento giusto, né intervenire per forza in tutte le discussioni. No. Quello che vi si chiede è di essere presenti e per esserlo iniziate a garantire al vostro corpo e al vostro respiro lo spazio che si merita.
Mi viene da puntarvi un ginocchio in mezzo alla spina dorsale quando mi accorgo che vi stanno cedendo le spalle, quando si abbassano e riducono la distanza tra la vostra fronte e il pavimento. Lo so che così state più comodi, ma pare che la soluzione più comoda non sempre sia quella prevista. Né quella migliore.
Naturalmente tanto rigore nelle vertebre ha i suoi effetti collaterali. Una collega una volta mi apostrofò simpaticamente come la Signorina Scopa nel Culo. Spassosa eh? Da morir dal ridere.

lunedì 22 novembre 2010

Libri che mi fanno godere

Oggi scrivo un post colto. Ché tanto l’avete capito che talvolta mi piace darmi arie da intellettuale snob. Comincio col raccontarvi del mio personale rapporto con le librerie. È facile: il libro è l’unico bene che acquisto senza pensare che sto spendendo dei soldi. Non viene inserito nel mio bilancio insomma, è come se si trattasse di euro mai usciti dal portafoglio. C’è gente che finisce sul lastrico così. Non io, animata come sono da una controllata pianificazione del budget di cui, a volte, mi vergogno. A minare la mia cauta propensione alla spesa irresponsabile ci pensa l’avvento di una nuova, scintillante, enorme, irresistibile Feltrinelli alla stazione di Torino, che spesso mi accoglie pendolare. E ho di nuovo comprato dei libri. Ne ho comprati parecchi, ma di due autori vi voglio parlare perché quando li ho avuti tra le mani ho pensato che c’era qualcosa di assurdo nel fatto che mi piacessero così tanto entrambi: Sándor Márai e Chuck Palahniuk. Un americano che porta le sue trame all’eccesso, costruendo imbrogli narrativi inverosimili e spettacolari, accanto a un ungherese morto suicida, capace di far monologare un suo personaggio per 180 pagine nelle quali non succede praticamente niente. Sono autori che amo di un amore diverso nato in momenti diversi. Vi capita mai di ripensare a dei libri come se fossero colonne sonore? Ricordarvi che cosa succedeva mentre vi stavate mangiando certe pagine?
L’ungherese l’ho scoperto qualche anno fa, grazie a un’amica che mi regalò Le braci. Da allora regalo Le braci a tutte le persone che amo. Il suo secondo libro che ho incontrato, La recita di Bolzano, l’ho letto integralmente sdraiata su un prato, sotto l’albero di un piccolo giardino, invece di scrivere la tesi. Mi ricordo l’attesa, mi ricordo che aspettavo di rosicchiare quelle mezz’ore alle mie giornate universitarie. Dopo diversi altri romanzi, ho smesso di frequentare Márai con L’ultimo dono, letto in un giorno e una notte d’estate, senza mai uscire dal letto e senza mai smettere di piangere. Quindi l’acquisto di un suo nuovo romanzo, Il sangue di San Gennaro, arriva dopo una lunga pausa e non vedo l’ora di cominciarlo.
Palahniuk invece è una scoperta recente. Di pochi mesi fa. Animata non so da che genere di curiosità, ho tirato fuori dalla libreria Fight Club e non ho mai sollevato il naso dalle pagine finché non l’ho finito. In poche settimane ne ho letti altri due. E ora ho comprato Ninna nanna, che però leggerò dopo aver finito Soffocare. Lo leggo mentre pendolo, attirando sguardi curiosi: può una fanciulla dall’aspetto angelicato quale io sono mostrare un tale perverso interesse per romanzi nei quali le relazioni sono brutali e la commedia si intende feroce?
È verosimile pensare che la mia attrazione per due scritture così distanti tra loro risponda a esigenze dissimili. Ho evidentemente bisogno di soddisfare il mio immaginario attraverso narrazioni capaci di sorprendermi con strumenti diversi. Ma vi risparmio l’autoanalisi del lettore.
Vi lascio invece con una citazione, che è di Palahniuk ma secondo me lo pensava anche Márai poco prima di spararsi:
non mi va di morire senza qualche cicatrice addosso.

giovedì 18 novembre 2010

Io per te ci sarò sempre

La relazione è finita. Noi la stiamo subendo questa fine. Sì, lo so, andiamo in giro a raccontare che è stata una decisione presa di comune accordo per il bene di tutti e due, che ci stavamo solo facendo del male e che tutto sommato è molto meglio così. Certo, come no. Talmente meglio che passiamo il nostro tempo a chiedere a tutti, astrologo a pagamento su rete privata compreso, se lui tornerà. Io, in genere, tendo a essere piuttosto schietta quando un’amica mi guarda implorante e chiede “Cosa ne pensi?”. Ne penso ogni male. Non soltanto per quello che ti ha fatto passare, per il suo ottuso egocentrismo, per la sua arrogante presunzione, per l’irascibile vulnerabilità con cui nascondeva le proprie insicurezze. Ma anche e soprattutto per il catalogo delle frasi dell’ultima ora che ci ha regalato. Non ha dimenticato niente, le ha dette proprio tutte:

Ci possiamo telefonare qualche volta, se ti va

Mi dispiace per come sono andate le cose

Vorrei che mi considerassi un tuo amico

Io per te ci sarò sempre

Cosa c’è che non va in queste frasi? Il contentino. L’implicita promessa di un premio di consolazione: ora io ti mollo e ti spezzo il cuore. Ma se tu lo accetti, fai la brava e non rompi, in cambio io ti concedo la mia presenza imperitura nella tua vita, nelle caste vesti dell’amico fraterno. Sai che c’è? Non mi serve. Ho l’agenda piena di amici, la rubrica trabocca di numeri di gente che mi ama e mi porterà in giro a divertirmi, sbronzarmi, conoscere persone interessanti. Quindi, già che ci sei, lasciarsi per lasciarsi, tanto vale farlo bene e sparire dalla circolazione.
Io per te ci sarò sempre dillo alle tue stramaledettissime, starnazzanti cocorite. Le ho sempre odiate.

lunedì 15 novembre 2010

Rubrica: Ventricoli Epistolari/6

Ecco Mich,
per la tua rubrica, ho anch’io una faccenda in sospeso.
Senti qui.
Sei al bar, no? Il solito bar, dove vai tutte le sere a leggere il giornale. E stai appunto leggendo il giornale. Entra un'ex barista, neanche bella, a dire il vero, ma con un bel fisico. Ha minimo venticinque anni meno di me. Questo devo dirlo. Ed è figlia di uno che conosco da tempo, uno che non ci mette molto a spezzarmi le gambe, se capisci quello che voglio dire.
Bel culo, la bimba, indiscutibilmente.
Io leggo il giornale.
Si accorge di me, sbaciucchiamenti sulle guance.
Poi, leggo il giornale, e ascolto. Ascolto che ha preso gli antibiotici per una fungosi.
Ora, quale cazzo di maledizione mi ha spinto a spiegarle la distinzione fra batteri e funghi? Ad essere così gentile e sorridente e interessato a quel che aveva da dire? Quale cazzo di maledizione mi ha spinto a cercare di fare il figo con una che non voglio, e che comunque se la volessi e la avessi suo padre mi uccide?
Eh?
Aff.mo Alberto Magno



Caro Alberto Magno,
il motivo per cui mi piace tanto la questione che proponi è semplice: è facile riconoscersi. Riconoscersi nel tizio che dice “quale cazzo di maledizione mi ha spinto a cercare di fare il figo con una che non voglio”. Vale per tutti credo, uomini e donne indistintamente. Quante volte ci siamo trovati a fare i conti con esercitazioni di scaltrezza adulatoria? Niente di serio, soltanto il desiderio di averne in cambio una conferma, di suscitare interesse, di piacere. Piacere. Ma santo cielo perché vogliamo sempre piacere? Quante idiozie sono state commesse in nome del nostro patetico tentativo di risultare piacevoli? Secondo me è capitato a tutti, anche a quelli che lo negano. Insicurezze? Estreme forme di narcisismo? Vanità? Tendenza all’autocompiacimento? Si fanno un sacco di danni in nome dell’autocompiacimento.
Detto questo vorrei che mi spiegassi la differenza tra batteri e funghi.

giovedì 11 novembre 2010

La caramella segreta

Una volta sono entrata in un negozio di biancheria intima un po’ particolare. Lo so cosa state pensando: no, non era un sexy shop travestito da merceria, era solo una piccola boutique di intimità creativa, con vetrine anche piuttosto sobrie, se si esclude una certa abbondanza di piume, lustrini e body con capezzolo a vista. Cosa che avrebbe dovuto in effetti mettermi un po’ in sospetto. Comunque io ero un’anima candida, parliamo del secolo scorso, e stavo solo cercando un paio di calze sfiziose. Che in effetti ho trovato: un paio di parigine viola ricamate davvero notevole. Quello che ho anche trovato, però, è stato un intero catalogo, assolutamente inimmaginabile dall’esterno, di costumini di scena. Scena pubblica o, suppongo, anche privata: infermiere succinte, badanti in lattice, maestrine scollacciate, cenerentole seminude. Ho dato un’occhiata, mossa da puro spirito analitico, sia al campionario esposto che al catalogo cartaceo, dal quale era possibile ordinare e ricevere in pochi giorni praticamente qualunque rivisitazione soft porno di tutti i mestieri che riuscite a immaginare. Per non dire dei personaggi delle fiabe. Confesso che sulla saldatrice in perizoma ho avuto un sussulto.


Io ero lì che avevo già scelto il mio castissimo paio di calze e stavo per pagare e uscire quando, a scopo squisitamente scientifico, ho chiesto informazioni su un tanga esposto accanto alla cassa. La commessa, professionale come una farmacista che illustra la posologia di un farmaco, è stata molto cortese ed efficiente:


Ecco, guardi, è taglia unica, può calzarlo senza problemi, si annodano questi lembi sui fianchi
Ah
Può fare un fiocco, vede?
Già
Però non deve indossarlo sotto i vestiti
Non ho capito
Si scioglie
Prego?
E’ come una caramella, il calore ne altera le proprietà
Oh. E quando si può mettere?
Poco prima del rapporto. Non deve andarci in giro
Mh. E di cosa sa?
Abbiamo due varianti: fragola e cacao. Ma se il suo partner preferisce possiamo ordinare anche altri aromi
Non occorre grazie
Soffre di allergie particolari?
Eh?
Allergie da contatto, intolleranze?
Non mi pare
Non si preoccupi. All’interno comunque trova un foglietto illustrativo
Grazie

Detto tra noi, io preferisco il cotone. E sono sicura di non essere la sola.