martedì 29 settembre 2009

Precise disposizioni


Allora, accade più o meno questo, che uno inizi a pensare all'eventualità che morte lo colga prima di riuscire a salutare tutti quanti. Anzi, è abbastanza probabile che accada proprio questo, dato che è piuttosto difficile che uno mentre è lì che agonizza si metta a fare un giro di telefonate per avvisare gli amici. Ora, quello che mi turba è che ci sono persone che non lo sapranno mai. Pensate pure che da parte mia si tratti di una forma perversa di narcisismo, può darsi, però questa cosa che certuni non verranno a sapere della mia dipartita non mi va proprio giù. Non parlo di chiunque io abbia conosciuto su questa terra, è ovvio, parlo piuttosto di compagni per certi versi transitori, amori ad interim, amici di passaggio, che però hanno influito in modo decisivo su certe nostre giornate. Definiteli come vi pare, fatto sta che sapete con certezza che non sono abbastanza presenti nel vostro presente da poter incrociare l'epigrafe con il vostro nome. E quindi? Come fate a sopportarlo? Ho dunque immaginato di depositare presso un notaio alcune precise disposizioni, come ad esempio un elenco di persone da contattare in caso di calamità che mi vedano protagonista. Avevo anche pensato di lasciare presso il suddetto l'elenco delle mie 6 caselle di posta e dei miei 7 altri account con relative password (compreso questo) con indicazioni dettagliate su come dare la notizia attraverso la mich virtuale. Ma ho lasciato perdere perché in questo modo ne verrebbero probabilmente informate anche persone che ne sarebbero felici e non mi va tanto. Alla fine dunque ho lasciato perdere le vie legali, ho messo giù qualche nome e, presa da cotanti pensieri, ho scritto a un'amica quanto segue:


senti, sono in paranoia pura: se dovesse capitarmi qualcosa di brutto e/o tragico (intendo qualcosa di semi-definitivo tipo morte, incidente gravissimo, leucemia fulminante o patologia rara) mi prometti che farai in modo, per quanto in tuo potere, che questo elenco di persone lo sappia? conto su di te [segue elenco con recapiti]

venerdì 25 settembre 2009

Pendolante


Sveglia alle 6.
Uscita di casa alle 7.
Rientrata adesso, con quasi due ore di ritardo rispetto al previsto, causa guasto tecnico di aliena natura. Ho attraversato, digiuna, campagne buie e stazioni colme di passeggeri rassegnati e digiuni pure loro, dallo sguardo sempre più feroce. Ora temo la crisi isterica, temo di iniziare a urlare e non smettere più, cerco spigoli cui dare mirate testate. Le mie poche certezze vacillano. Ho bisogno di sushi, ma è tardi per la consegna a domicilio. Tengo a bada l’ansia buttando giù un moment col martini.

PS. grazie Trenitalia

lunedì 21 settembre 2009

Rewind



C'è questo cantante, può essere che qualcuno di voi lo conosca, si chiama Vasco Rossi. Adesso non venitemi a dire che voi non vi bagnate nella folla del signor Rossi, pfui, che non avete mai canticchiato, magari senza rendervene conto, qualche vecchio successo e che lo lasciate alla massa mentre voi ascoltate soltanto retrospettive di musicisti ucraini possibilmente morti nei gulag. Che ci stanno anche le retrospettive dei musicisti morti, ci mancherebbe, ma oggi Vasco Rossi mi serve per un concetto in particolare: quello del Rewind, non necessariamente legato al sesso, come invece compare nella canzone del nostro amico, ma esteso a tutte le possibili varianti. Non mi viene in mente un altro che l'abbia usato con la stessa accezione (senz'altro esiste, e può darsi che non si tratti per forza degli Zero Assoluto, solo che oggi mi martella in testa questa, di canzone), un'accezione molto particolare. Non ha niente a che fare coi rimpianti e coi rimorsi: qui si tratta di fare una manciata di passi indietro per rivivere tutto da capo senza cambiare una virgola. Fare Rewind perché è stato una figata insomma, non per cambiare parole o situazioni o per ripercorrere una vicenda con in mano il bloc notes dei se e dei ma. La ripercorriamo perché ci è piaciuto, perché era perfetto così. Certo, a volte si vorrebbe tornare indietro per rimediare, per cambiarlo quel maledetto attimo, anche solo per prendere quell'incrocio in bici senza fidarsi del principio della precedenza. Ci sono anche questi, di tormenti, quando si desidera far qualche passo a ritroso: torno indietro e rifaccio tutto diverso. Ma altre volte no. Altre volte si vorrebbe il tasto Rewind per rifarlo uguale.

martedì 15 settembre 2009

Chi ben comincia

Arrivo all'incrocio pedalante coi pensieri a fette, 7 del mattino, la strada è deserta. La percorro tutti i giorni alla stessa ora, conosco a memoria la sequenza delle precedenze. Qui è mia. Ma lui, furgone, non se ne cura. Un secondo esatto per capire che forse non mi ha vista, o che se mi ha vista se ne sta fregando, che non sta rallentando. Pochi metri, sempre meno. Chissà cosa pensa quando si rende conto che sono lì. Qualunque cosa pensi, lui è al chiuso di un abitacolo in acciaio, io sono all'aperto, in sella nell'aria del mattino. Vedo la frenata, ma non sarà sufficiente mi dico. Pochi istanti per pensare oddio qui c'è l'asfalto, spero di non farmi troppo male. Dilatazione spaziotemporale. Quando finisce questo maledetto incrocio? Pedalo. È a un metro, urlo, i muscoli contratti in attesa dell'impatto. Ma l'impatto non c'è: io passo, gli si spegne il motore nello sforzo dell'inchiodata. Mi fermo. Non ne vedo nemmeno la faccia e grido “Coglione! Cazzo! Avevo la precedenza!”. Avrei voluto dire qualcosa di più intelligente, magari senza turpiloquio, non urlando. In teoria sarei la tipa da invitarlo a discutere a mente fredda, con calma e ragionevolezza, dell'imprudenza della sua guida. Invece sbraito cinque parole. Riparto. Riparte. Mi accorgo che sto tremando. Piango per due isolati. Poi la giornata comincia.


Potrei fare autocritica. Se fossi andata un po' meno veloce, se ci fosse stata più luce, se non ci fosse stato l'asfalto bagnato. Insomma, forse è colpa mia, forse pedalavo distratta.
Al diavolo l'autocritica! Avevo la precedenza. E so andare in bicicletta. Quel demente si doveva fermare.

lunedì 7 settembre 2009

Punteggiatura emotiva


Ho un problema di comunicazione. Riguarda la punteggiatura, quella usata per creare faccine, sorrisini e stati d'animo in genere. Temo di essere un po' indietro, più come approccio che come capacità esegetica, e di avere qualche seria difficoltà a comprendere pienamente quello che si sta cercando di dirmi. Mi spiego: alcune sono piuttosto facili


:) e :)) = rido, sorrido, uh come sono contenta, bella questa. Per quanto mi riguarda io la intendo anche come un 'grazie' e 'grazie tante', ma è questione di punti di vista

:D e :DD = che ridere! Che matte risate! Mi sto sbellicando!

:( e :(( = povera me, me tapina, me infelice

:[ = questo sta pensando che sto dicendo una scemenza

>:O = questo sta pensando che la scemenza me la farà rimangiare quanto prima

:°( = questo piange? Così? In pubblico?

:* = e questo bacia? O fa una pernacchia?

Ho poi qualche piccolissimo dubbio con:

;) apparentemente è un occhiolino, d'accordo. Ma in che contesti si strizza l'occhio? Si ammicca per fare una battuta, per sottolineare l'ironia e perché sia chiaro 'non prenderla troppo sul serio' immagino. Io comunque, per mesi, a questa cosa della malizia sottintesa al punto e virgola ho sempre abbinato, per associazione mentale, una qualche specie di segreta avance.

Ma i problemi veri arrivano adesso:

=) questo che è?

E questo :/ ?? Pensavo fosse disappunto, poi qualcuno l'ha usato come interrogazione e qualche altro come perplessità. E io non sapevo se rispondere, cosa rispondere o se era il caso di scusarmi.

E poi ci sono quei tre sguardi straordinari:

o_O questo è strabismo puro

*_* questo invece ha assunto sostanze psicotrope

^_^ per non dire di questo, un affronto all'Accademia della Crusca.

E mi sono limitata ai più usati, evitando di inserire nell'elenco la variante con naso/senza naso, le parentesi graffe e i cancelletti.
Avete suggerimenti? Sono naturalmente ammesse e benvolute libere esegesi e reinterpretazioni bizzarre, anche perché io adoro usarli a vanvera.

martedì 1 settembre 2009

Donna triste, maneggiare con cautela


La verità è che quando una donna è triste c’è poco da chiedere. Soprattutto quando i motivi di quella malinconia non sono chiari nemmeno per lei. Il massimo che potete fare è cercare di assecondarla. Assecondarne i capricci normalmente significa concederle una serie di iniziative moleste sulla vostra persona. Far finta che sia colpa vostra insomma. E anche se in tutta coscienza potete dire di non aver fatto niente di sbagliato sappiate che qualcosa la si trova sempre. Quindi vi conviene darle ragione a prescindere e mantenere il vostro atteggiamento limpido e accomodante, in special modo se la malinconia si accompagna all’insofferenza. Ad esempio dovete dimostrare entusiasmo se manifesta il desiderio di abbattere sui vostri alluci una pentola a pressione o un rastrello da giardiniere. Denigrare persone che stimate ma che sapete che lei detesta vi farà guadagnare il suo rispetto e forse riuscirete persino a meritarvi un sorriso. Dovete poi apprezzarne gli sforzi compiuti nel tentativo di cucinare quella pietanza a base di seitan che detestate. Anche permetterle di togliervi i punti neri può essere terapeutico per il suo umore (personalmente è una pratica che aborro, ma conosco donne di ingegno, cultura ed intelletto che invece impazziscono di gioia all’idea di un simile privilegio sulla pelle del partner – specie sulla schiena – ). Chiederle ripetutamente “cos’hai?” è il modo migliore per alimentarne la depressione e, in certi casi, la furia, sappiatelo. Cosa volete che vi risponda? “niente”, dirà. E, a seconda che a prevalere sia la tristezza o l’insofferenza, potreste provocare, con l’incauta domanda, tanto le lacrime quanto una padellata in fronte. Assecondarla, dunque. Il che potrebbe significare anche restare al buio in salotto a fissare la tele spenta per due ore. In tal caso troverà la vostra presenza irritante. Ma la vostra assenza la offenderà a morte.